Perché Salvini e Di Maio non chiedono le dimissioni di Mattarella?

Quello che fa specie della bufera che si è abbattuta sul sistema giudiziario italiano, con l’inchiesta di Perugia che ha portato alle dimissioni di quattro consiglieri del Csm e del presidente dell’Anm Grasso, è non solo il modo in cui una simile bomba è stata minimizzata dai media, ma anche la sostanziale reticenza delle forze politiche nel condannare lo scandalo e i suoi protagonisti. 

Se la Lega non è mai stata eccessivamente “giustizialista” è anche vero che molti suoi esponenti sono stati negli ultimi tempi vessati da indagini e condanne che si possono definire “a orologeria” (come ai tempi di Berlusconi), per non parlare della sentenza che condanna il partito a risarcire allo Stato la cifra mostruosa di 49 milioni di euro.
Salvini, insomma, avrebbe tutti i motivi per condannare ad alta voce quanto sta accadendo in questi giorni, parlando di magistratura politicizzata (come in effetti traspare) e di sentenze mirate a distruggere una precisa parte politica.
La stessa cosa – e a maggior ragione – si può dire del M5S, che in quanto partito dell’“onestà” a prescindere dovrebbe scagliarsi con la massima forza contro la corruzione, compresa quella nell’amata magistratura. 

Invece le reazioni dei partiti di maggioranza sono state finora flebili, di fronte a uno scandalo che coinvolge i vertici del sistema giudiziario italiano, fino a raggiungere la vetta (o il colle) supremo: il Quirinale.
La presidenza della Repubblica è stata tirata in ballo nel caos procure in ben due intercettazioni: la prima volta da Lotti, che ha detto di aver “parlato con Mattarella” della questione delle nomine concordate con le altre toghe; la seconda in una conversazione tra il parlamentare Cosimo Ferri e Luca Palamara,  in cui si evince che il segretario giuridico del Quirinale, Stefano Erbani, informava magistrati del Csm (e da lì Ferri) della presenza di un trojan sul cellulare di Palamara.
A meno di colossali menzogne, dunque, il PdR, in quanto capo del Csm, non poteva non sapere quanto stava accadendo sotto il suo naso.

Di fronte a simili accuse, il Quirinale ha smentito ogni coinvolgimento, ma non ha querelato né Lotti né Ferri o Palamara. Resta quindi forte il dubbio che il coinvolgimento ci sia stato e, se è così, il minimo che va chiesto a Mattarella è che rassegni le dimissioni.
Invece si registra un inusuale silenzio da parte dei partiti di maggioranza: anche da quel Di Maio che prima della formazione del governo aveva chiesto l’impeachment a Mattarella per l’incarico che stava per conferire a Cottarelli.

Ricordiamo che Mattarella è un presidente nominato da un Parlamento sostanzialmente illegittimo (composto dalla maggioranza “drogata” dal Porcellum, dichiarato incostituzionale) e che ha finora sabotato con tutte le sue forze la linea sovranista del governo, bocciando Savona all’economia e  Sapelli a premier, cercando di dare l’incarico di presidente del Consiglio a Cottarelli, pretendendo l’inserimento nel governo di corpi estranei come Moavero e la Trenta, inveendo continuamente contro il sovranismo e difendendo nel modo più osceno l’Ue e le sue imposizioni assurde. 

Ci sono quindi tutti i motivi per chiederne le dimissioni o addirittura arrivare allo stato d’accusa se le prove di un suo coinvolgimento nello scandalo “toghe rotte” dovessero essere appurate, perché si configurerebbe un comportamento eversivo volto a pilotare le nomine e il comportamento dei giudici in accordo con una particolare parte politica: quella del Pd.
Di fronte a tutto ciò, le forze di maggioranza non possono tacere e devono prendere posizione affinché tutto il marcio della vicenda sia scoperchiato, e che tutti i colpevoli di comportamenti indebiti siano rimossi dai loro incarichi e ricevano le giuste sanzioni. Quirinale incluso.

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