Il conflitto israelo-palestinese e l’odioso doppio standard dei media occidentali

La dottrina dello shock va sempre forte tra i burattinai globali e i media che gli fanno da cassa di risonanza.
Dopo l’emergenza Covid siamo passati all’emergenza guerra in Ucraina, per poi virare sull’emergenza climatica, planando infine sul riacutizzarsi del conflitto in Medio Oriente.
Ogni crisi ha preso il posto della precedente nel catalizzare l’attenzione delle masse, con tanto di indignazione imposta un tanto al chilo e ricerca esasperata del nemico del popolo da demonizzare: prima il No Vax, poi il filo-Putin, quindi il negazionista climatico e infine il terrorista antisemita che tifa per Hamas.
Inutile dire che, per essere tacciati di appartenenza ad una di queste categorie, è sempre stato sufficiente sollevare il minimo dubbio sulla narrazione collettiva che veniva propinata dal Giornale Unico Occidentale: europeista, filo-atlantico e sponsorizzato dalla Pfizer.
Per completezza aggiungeremo le altre due categorie essenziali del Perfetto Cittadino Globalista: immigrazionista e pro-Lgbt, cui si contrappone l’orrido nemico sovranista, razzista e omofobo, che magari vorrebbe porre qualche limite al continuo sbarco di immigrati clandestini in Italia (che sta proseguendo, anzi aumentando nonostante la presenza dei c.d. “neofascisti” al governo), o sostenere che l’unica vera famiglia è quella composta da un uomo, una donna e relativa prole, una bestemmia di questi tempi.

Ma dicevamo del conflitto tra Israele e Palestina.
L’ennesimo shock globale del nostro tempo è arrivato puntuale, quando ormai la guerra in Ucraina iniziava a stufare l’audience e persino le parti in gioco, e da più direzioni si iniziava ad invocare un’uscita strategica, anche da parte di Usa e Stati europei.
A un mese dall’inizio delle ostilità, molti sono i punti a rimanere oscuri sull’episodio che ha portato al riacutizzarsi delle tensioni.
Che l’intelligence migliore del mondo si sia fatta cogliere di sorpresa dai miliziani di Hamas, notoriamente molto più arretrati dal punto di vista tecnologico e strategico, risulta veramente difficile da mandare giù.
Specialmente alla luce di alcuni elementi rivelati dal giornalista Francesco Amodeo, il quale sostiene che la Cia abbia avvisato il Mossad israeliano delle intenzioni di Hamas prima del 7 ottobre (e precisamente il 5 ottobre), e che per tutta risposta il governo israeliano abbia spostato il famoso rave party proprio a ridosso della Striscia di Gaza nello stesso giorno.
Da qui il sospetto che non solo i servizi israeliani non abbiano fatto il necessario per impedire l’accaduto, ma che probabilmente potrebbero aver lasciato che accadesse.
In pratica, un casus belli necessario alla definitiva pulizia etnica della Palestina, o – com’è stato significativamente definito – un utilissimo 11 settembre ebraico.

Questa teoria sembra fantascientifica finché non si valuta un altro elemento fatto rilevare da Franco Fracassi (giornalista e scrittore), il quale sostiene che l’intelligence israeliana abbia addirittura creato Hamas a partire dagli anni ’80, favorendone in seguito il finanziamento tramite Stati notoriamente alleati dell’Occidente come il Qatar e l’Arabia Saudita, per evitare un rafforzamento della più moderata
Olp (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) e succesivamente dell’Anp (Autorità Nazionale Palestinese).
In pratica – questo il ragionamento dello Stato ebraico – meglio confrontarsi con un avversario estremista ma debole militarmente, piuttosto che con uno moderato e capace di riscuotere maggiori simpatie internazionali nel perorare la causa palestinese.
A sostenere lo stretto legame tra Netanyahu e Hamas è anche lo stesso quotidiano israeliano Haaretz (difficilmente tacciabile di antisemitismo e complottismo) che, in questo articolo del 20 ottobre scorso, mostra come il presidente dello Stato ebraico abbia sostenuto al potere per 14 anni l’organizzazione radicale palestinese, tenendola al contempo separata dall’Anp in Cisgiordania.
E’ possibile leggerne un’ampia sintesi in italiano in questo post di Massimo Mazzucco.

Israele ci ha abituato, negli anni, al suo doppiogiochismo: come quando aiutava, addestrava e finanziava le milizie dell’Isis in Siria e Iraq, assieme a Stati Uniti, Qatar e Arabia Saudita.
Non è un caso se lo Stato islamico non si è mai rivolto contro quello ebraico, ma si è unicamente scagliato contro i “nemici dell’Occidente” come Assad.
L’idea che Israele abbia inscenato un proprio “11 settembre” si spiega non solo con la necessità di Netanyahu di completare la pulizia etnica in Palestina, terminando la spoliazione e colonizzazione di quei territori che va avanti da un secolo e per la quale serviva solo un pretesto; questo attacco è capitato anche in un momento in cui la leadership di Netanyahu era fortemente provata dopo mesi di proteste per il progetto di riforma della giustizia, che porterebbe al controllo della Corte Costituzionale da
parte dell’esecutivo. E’ vero che il 7 ottobre ha rappresentato per l’opinione pubblica israeliana una clamorosa debacle delle forze di sicurezza, ma è altrettanto vero che, finché l’offensiva contro il nemico comune arabo andrà avanti, Netanyahu non sarà messo in discussione e godrà dell’appoggio di ampie parti della popolazione e delle altre forze politiche.

Sempre che non si esageri nella risposta all’aggressione. Ed è proprio ciò che sta accadendo.
A un mese dall’inizio del conflitto, i numeri della mattanza a Gaza sono vergognosi.
Oltre 10mila morti palestinesi, di cui 4mila bambini. Un numero di vittime civili superiore a quello della lunga guerra in Ucraina.
Bombardamento indiscriminato di scuole, ospedali, abitazioni. Luce, acqua e gas tagliate alla popolazione.
La rappresaglia israeliana, più che il famoso “diritto a difendersi” invocato ogni giorno dai corifei del sionismo, ricorda la logica nazista durante la II guerra mondiale, quella dell’uccisione di 10 esponenti della popolazione ostile per ogni vittima nel proprio schieramento.
E’ proprio vero che si è sempre gli ebrei di qualcuno: i palestinesi sono oggi gli ebrei di Israele.

Quale soluzione?
Secondo un documento reso noto sempre da Franco Fracassi, l’intenzione dell’esercito israeliano sarebbe quella di deportare forzosamente 2 milioni di palestinesi da Gaza in Egitto, compensando adeguatamente il regime di Al Sisi.
A questo stanno probabilmente mirando i bombardamenti di questi giorni: il genocidio e la pulizia etnica dei palestinesi, la deportazione dei superstiti, e la totale occupazione israeliana della Palestina.
Un progetto portato avanti sin dalla fine dell’Ottocento dal movimento sionista, capeggiato dalla celebre famiglia di banchieri Rothschild. Per credere, leggere la famosa dichiarazione Balfour (1917), con la quale l’allora ministro degli Esteri britannico, Arthur Balfour, si impegnava a favorire la nascita dello Stato di Israele e il trasferimento in quei territori di coloni ebrei, dichiarazione indirizzata proprio a Lord Lionel Walter Rothschild, quale esponente di punta del movimento sionista.

A livello ideale, occorrerebbe un sforzo internazione per far sorgere in tutto il territorio comprendente Israele e Palestina un unico Stato laico, aconfessionale, e aperto in egual misura ai 3 popoli delle Religioni del Libro: ebrei, musulmani e cristiani.
Occorrerebbe perseguire nel modo più duro le frange estremiste di questi popoli, e garantire un’equa presenza delle diverse etnie, cosicché nessuna possa prevalere numericamente.
E’ un obiettivo che si può perseguire solo nel lungo periodo, e con un continuo confronto e sforzo della comunità internazionale.

Altra soluzione sarebbe quella dei due popoli per due Stati, ma occorrerebbe accordarsi su quali confini potrebbero essere accettati dalle controparti, e gli israeliani appoggiati dagli Usa e da buona parte dei governi europei non sembrano disposti a cedere quanto conquistato in anni di colonizzazione.
Allo stesso modo, non è facile che i popoli arabi accettino lo spossessamento dei loro territori avvenuto nel corso dell’ultimo secolo.

Nel breve periodo, occorre un immediato cessate il fuoco e la condanna unanime dei crimini di guerra israeliani, oltre che di quelli di Hamas.
L’essere vittima di uno o più attentati, che siano avvenuti per una reale impreparazione delle forze israeliane oppure no, non può giustificare una rappresaglia orrenda su una popolazione di 2 milioni di persone. Avallarla significa essere complici di genocidio e pulizia etnica: con buona pace della presunta superiorità dell’Occidente libero e democratico, prontissimo a condannare Putin ripetendo ad libitum il mantra dell'”aggressore e dell’aggredito” (ignorando bellamente quanto accaduto in Donbass negli 8 anni precendenti), e altrettanto pronto ad abbandonare quel mantra di fronte alla pluridecennale occupazione israeliana.
Un doppio standard francamente intollerabile.

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