Facciamo come in Canada (e lavoriamo al prossimo governo)

Le file che in questi giorni si vedono davanti alle procure per denunciare Draghi e il suo governo discriminatorio e liberticida sono un ottimo segnale, soprattutto grazie all’iniziativa di Italexit, il partito di Paragone, e dei suoi legali, Marco Mori in primis (qui le prossime date in tutta Italia e qui il modulo da scaricare, compilare e depositare presso le Forze dell’Ordine).
Che il governo sia denunciato in tutto il Paese è assolutamente necessario, per le ripetute e palesi violazioni delle libertà e dei diritti basilari dei cittadini, quindi è fondamentale che questa iniziativa continui e si moltiplichi in ogni città. Un magistrato che sia uno, che abbia ancora a cuore la Costituzione e gli essenziali diritti umani, si dovrebbe trovare.
A questo vanno aggiunte le proteste di piazza, che non saranno mai abbastanza e mai abbastanza partecipate. Di sabato o in qualsiasi altra giornata: più ce ne sono, di manifestazioni anti-Green Pass e obbligo vaccinale, meglio è. Non foss’altro che per testimoniare la presenza di un nutrito numero di persone che non accettano passivamente la dittatura sanitaria e di fare da topini da laboratorio di Big Pharma.
E’ superfluo, poi, ricordare la potenza della Disobbedienza Civile: in ogni luogo, nel proprio quotidiano, bisogna disapplicare queste regole folli, in tutti i modi che ognuno ha a disposizione, fino alla definitiva abrogazione. Questo naturalmente dipende dalla organizzazione e dalle condizioni di ciascuno.
Alcuni interessanti esempi sono costituiti dagli aperitivi di massa nelle piazze italiane, organizzati in città come Torino e Livorno per protestare contro l’obbligo di NaziPass nei locali aperti al pubblico, o l’iniziativa di ritirare tutti i soldi dai propri conti come reazione all’imposizione del GP per entrare nelle poste o nelle banche.
Infine c’è il Canada. Da qualche giorno un eccezionale numero di camion si è spostato da tutto il Paese verso la capitale, Ottawa, costringendo persino il premier Trudeau ad una fuga precipitosa “per precauzione”.
Ai camionisti, che protestano per l’obbligo vaccinale scattato da qualche giorno per trasportare merci dal Canada agli Stati Uniti, si sono uniti poi comuni cittadini, costituendo una folla oceanica di uomini e mezzi che hanno dato vita a una fenomenale forma di protesta popolare contro i sieri obbligatori e tutta l’agenda nazifascista che vi è stata costruita sopra dai comparucci del Forum di Davos.
Il sindaco di Ottawa ha dovuto addirittura dichiarare lo stato d’emergenza, mentre iniziativi simili si sono ripetute anche a Toronto e Quebec City.
Donald Trump ed Elon Musk hanno appoggiato la protesta, definendola una “battaglia di libertà”.
Su Twitter è nato l’hashtag #FreedomConvoy e il 14 febbraio è previsto un appuntamento da tutta Europa a Bruxelles. Manifestazioni simili a quella canadese si stanno verificando anche in Germania e Olanda.
In Italia camion e camionisti sembra che non manchino, l’hashtag ufficiale esiste già. Vogliamo imitare i fratelli canadesi e creare un po’ di disagi nelle principali città fino alla cancellazione di GP e obbligo vaccinale? Chissà che zio Trump dall’America non ci dia una mano.

E da qui ci spostiamo alla politica.

Duole annunciare che, in seguito alla rielezione di Sergio Mattarella a PdR, il centodestra italiano (che pure ha la maggioranza relativa dei seggi in Parlamento e quindi poteva insistere su un suo candidato) è MORTO, DEFUNTO, TRAPASSATO.
Qualcuno dica a Borghi, Bagnai e Rinaldi che, se vogliono salvare la faccia, farebbero bene ad abbandonare la barca che affonda, come ha fatto per tempo la Donato.
Si salva solo la Meloni, ma con simili compagni di viaggio non può andare lontano.

Per questo occorre rilanciare il progetto di una coalizione che comprenda Italexit di Paragone, federato con gli altri partiti sovranisti e anti-dittatura sanitaria, Fratelli d’Italia (se è disposta a staccarsi dal centrodestra dopo i recenti sconvolgimenti) e – SOLO IN ULTIMA ISTANZA – quel poco di buono che rimane della Lega salviniana, da raccattare nel caso che i voti dei primi due partiti-coalizioni non dovessero essere sufficienti per avere la maggioranza dei seggi in Parlamento.
Si intende che, dopo i clamorosi tradimenti operati da M5S e Lega con la partecipazione al governo Draghi e alla rielezione di Mattarella, è necessario che la coalizione sovranista capeggiata da Paragone e Fratelli d’Italia ottengano la quantità di voti più alta possibile, in modo da provare ad escludere altre forze dal governo. Ma se questo non dovesse essere sufficiente, è bene iniziare a preparare la collaborazione con qualche leghista che non abbia perso del tutto lo spirito sovranista.
Occorre mettersi al lavoro ora per costruire il Parlamento e il governo più sovranisti, euroscettici e anti-dittatura sanitaria possibile nel 2023. Liberandoci dal maggior numero di traditori.

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Questo governo non rappresenta più nessuno. Il popolo scenda in piazza e Mattarella sciolga le Camere

Il voto in Emilia ha dimostrato che in Italia esistono ancora delle frange – veramente illuminate – di popolazione in grado di legittimare il governo abusivo del peggior partito d’Italia, d’Europa e forse del pianeta: Il Partito Democratico .
E’ commovente vedere come, dopo i bambini sottratti alle famiglie di Bibbiano e dintorni, dopo che le nostre città sono state riempite di clandestini che finiscono ad ingrassare mafie e coop e a fare (se va bene) gli schiavi nei campi di pomodori e (se va male) gli spacciatori o le prostitute, dopo la distruzione dei nostri diritti sociali e delle nostre imprese in ossequio alle folli regole di Bruxelles e Francoforte, e dopo il totale spregio della democrazia con cui il voto del 4 marzo 2018 è stato ribaltato riportandoci al potere un governo ultraeuropeista e ultraimmigrazionista, ci sia ancora qualcuno nel Paese disposto a votare per questi cialtroni anti-italiani, per giunta abboccando al richiamo di 4 fessacchiotti come le Sardine (movimento messo su dagli amici di Prodi e benedetto da Soros e dai Benetton) e assecondando le manovre di Grillo e dei 5 Stelle, che suicidandosi hanno fatto di tutto per fare vincere i Dem.

E’ evidente che a Bologna, Reggio Emilia, Modena e dintorni le clientele funzionano ancora, così come la suggestione idiota di sentirsi “partigiani” rifiutando un governo di destra, per poi dare campo libero all’ultrafascismo sovranazionale dell’Ue franco-tedesca, delle Ong sponsorizzate da Soros e della finanza internazionale.
Gli emiliani raccoglieranno presto quello che hanno seminato: tanto per iniziare tutto il marcio relativo al caso Bibbiano sarà prontamente insabbiato, come le collusioni tra Pd e magistratura, e i magnifici assistenti sociali locali torneranno a fare carne di porco delle famiglie emiliane. Continueranno le politiche di nazismo vaccinale, che hanno in paesi come Rimini il loro epicentro. E ci auguriamo che le suddette città si riempiano di immigrati spacciatori ad ogni angolo di strada, visto che li amano tanto.

Chiuso il capitolo Emilia-Romagna, passiamo alle conseguenze nazionali del voto. Ovviamente Conte e i suoi amiconi Dem sono corsi a parlare di “sconfitta di Salvini” (pochi giorni prima era “solo un voto regionale”, guarda un po’), blindando la legislatura fino al 2023. E’ un esito scontato ed infausto, ma se fossimo in una normale democrazia questo non avrebbe senso.
Il Pd dopo 9 elezioni regionali, tiene sono nel suo fortino di sinistrati irrecuperabili.
Nel resto del Paese in due anni ha sempre preso sonore batoste.
Il M5S è scomparso dalla faccia del pianeta: non controlla nessuna regione, alle ultime elezioni regionali ha preso meno del 10% e nei sondaggi non va oltre il 15%.
Di conseguenza il partito di maggioranza relativa nel Parlamento non rappresenta più minimamente il Paese come lo faceva due anni fa, e il Pd, che ha straperso le politiche del 2018 e tutte le elezioni fino a domenica scorsa, resta saldamente anche nei sondaggi solo il secondo partito del Paese, dopo la Lega.
Il centrodestra, oltre ad aver vinto tutte le elezioni degli ultimi due anni, vola nei sondaggi verso il 50%.
Lo scollamento tra Parlamento e Paese reale è quindi oramai troppo forte, e le Camere dovrebbero essere sciolte per condurre l’Italia a nuove elezioni, come previsto dai padri costituenti. Questo se avessimo un presidente della Repubblica veramente rispettoso di democrazia e Costituzione, e non un piddino servo della U€.

Poiché è assolutamente necessario far fuori questo governo per ripristinare un minimo di democrazia nel Paese, due sono le strade, percorribili allo stesso tempo:

  1. Manifestare nelle piazze con la maggiore frequenza possibile, come sta accadendo da mesi in Francia, per chiedere la fine di questo esecutivo illegittimo e nuove elezioni, che ci ridiano una maggioranza e un governo realmente rispettosi della sovranità popolare;
  2. Che alcuni “dissidenti” del M5S, nostalgici del governo gialloverde, abbandonino l’attuale maggioranza, facendo cadere il governo in Senato, passando dalla parte del centrodestra. Pensiamo in particolare a Gianluigi Paragone, cacciato per “eccesso di coerenza”, e ad altri come lui. Dovrebbero bastare una quindicina di senatori, che il centrodestra sarà ben felice di ricandidare in caso di elezioni anticipate.

Alla Lega in particolare conviene ribaltare immediatamente la situazione, specie in vista dell’accanimento giudiziario che si prospetta verso il suo leader: dopo il processo Gregoretti si avvicina anche un processo Open Arms, e il mostro pentapiddino sarà ben contento di scaraventarlo nelle grinfie dei giudici “Democratici”.
A questo proposito, invitiamo Salvini ad abbandonare la linea “moderata” assunta di recente: se continuerà ad appoggiare Draghi come prossimo presidente della Repubblica, a rifarsi alla Thatcher e al suo noto neoliberismo spinto, a dire di voler “cambiare l’Europa dall’interno” anche dopo la Brexit e ad affermare che “l’Euro è irreversibile”, durerà molto poco e, oltre ad essere perseguitato dai giudici, perderà anche il feeling con gli elettori che lo considerano un sovranista e campione della difesa della nazione.
A lui la scelta se vuole risorgere o crollare definitivamente.

Il golpe si è compiuto. Uccisa la democrazia in Italia da un MoViMento di imbroglioni e traditori

Alla fine ci sono riusciti.
Ciò di cui da mesi si vociferava, cioè un accordo tra M5S e Pd per un ribaltone di governo benedetto da Mattarella, si è definitivamente concretizzato pochi giorni fa, dopo la votazione su Rousseau e la nascita del Conte Bis.
Un esecutivo maledetto già nella culla per il suo totale scollegamento con il volere dei cittadini italiani: se il 4 marzo 2018 gli elettori avevano premiato i partiti più “anti-sistema” (o percepiti come tali) e punito severamente il Pd, grazie al nuovo governo giallorosso rientrano dalla finestra i Dem cacciati dalla porta, con un’operazione tanto vergognosa e antidemocratica che non si può che parlare di golpe bianco.

Le elezioni dello scorso anno avevano infatti certificato una evidente disaffezione degli italiani verso le politiche europeiste, globaliste, immigrazioniste e Lgbt-friendly del centrosinistra renziano, consegnando il 37% delle preferenze al centrodestra a trazione leghista e il 32% a un M5S che contro quelle politiche si era mostrato sempre critico, se si esclude la vicinanza alle “famiglie arcobaleno” delle amministrazioni 5 Stelle. Rimaneva ben distanziato il centrosinistra col 22%.

Era chiaro a tutti che la nuova maggioranza avrebbe dovuto essere a prevalenza di destra, con qualche stampella centrista (il M5S o il gruppo misto).
Invece, prima Mattarella impediva a Salvini di cercarsi una maggioranza autonoma in Parlamento (per quanto ciò fosse indubbiamente difficile) e in seguito il Movimento, dopo il rifiuto di Renzi ad ogni accordo (il che certifica che l’inciucio era già pronto l’anno scorso da parte del M5S), costringeva la Lega a disfarsi degli altri 2 partiti della coalizione uscita vittoriosa dalle urne, per poter redigere il contratto di governo.
In questo modo il nuovo esecutivo, da essere di centrodestra + M5S diventava un M5S + Lega. Già questo andava a ledere la rappresentanza democratica, lasciando un 20% degli elettori di centrodestra fuori dalla maggioranza di governo.
Ma questo poteva andare bene finché la Lega avesse portato le politiche della coalizione all’interno dell’azione del nuovo esecutivo.

 Successivamente iniziava da parte del M5S il sabotaggio alle politiche leghiste, con i ministri Trenta (Marina militare), Tria (Guardia di finanza) e Toninelli (Guardia costiera) che spesso agivano in modo platealmente contrario alla linea dura di Salvini sull’immigrazione.
Le tensioni si sono esacerbate dopo il voto alla Von der Leyen, sostenuta dal M5S e non dalla Lega, e dopo i continui niet di Tria e Conte ai minibot e a politiche economiche contrarie ai diktat europei, oltre che all’opposizione dei grillini alla Tav.

La mossa di Salvini di staccare la spina è stata evidentemente stupida e ingenua: era chiaro che Mattarella, da sempre a lui ostile, non avrebbe permesso il ritorno alle urne in presenza di un’altra maggioranza, ed era evidente l’intenzione dei grillini di rompere con la Lega flirtando col Pd.
A questo va aggiunta la presenza di Matteo Renzi e di Stefano Feltri (vicedirettore del Fatto) al Bilderberg 2019, segno di un incessante lavorio delle oligarchie euro-atlantiche per favorire il ribaltone.

La mossa di Salvini è stata disastrosa anche per le varie indagini che pendono sul suo capo grazie al solerte interessamento delle procure “rosse”: il pm Patronaggio di Agrigento, quello del caso Diciotti, non vede l’ora di mettere le mani su un leader leghista privo di scudi (maggioranza) in Senato. E che Salvini abbia agito per tutelare l’interesse nazionale e il mandato elettorale ricevuto, a questa gente fregherà poco.
Inoltre la nuova maggioranza ci metterà poco a partorire una nuova legge elettorale anti-Salvinellum, interamente proporzionale, che impedisca al centrodestra di governare salvo il raggiungimento del 51% delle preferenze.
Per non parlare dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica nel 2022, per cui già si fa il nome di Prodi. 

Insomma: Salvini ha compiuto un disastro di ingenuità staccando la spina al governo gialloverde, decisione che influenzerà pesantemente la vita del Paese per gli anni a venire, mentre i 5 Stelle sono stati delle pure carogne nel riportare al potere il partito di Bibbiano, Banca Etruria, Mps, Mafia Capitale e scandalo Csm, del business dell’accoglienza, del tifo per la psicopatica speronatrice Carola Rackete, dei deliri pro-Lgbt, della sudditanza a Ue, Euro, asse franco-tedesco e austerità ammazzapopoli. E tutto questo per la paura di tornare al voto, che avrebbe senz’altro consegnato il governo al centrodestra (in costante crescita nei sondaggi dal 2018 in poi) e il M5S all’oblio.
Viene assolto così, e nel modo più plateale possibile, il vero compito dei 5 Stelle: prendere i voti di milioni di cittadini infuriati e riportarli ordinatamente ai partiti dell’establishment europeista e globalista. 

Adesso, la ferita inferta alla democrazia dalla nascita del Conte Bis sarà difficile da rimarginare, e si lega in modo stretto al tentativo in Gran Bretagna di impedire in tutti i modi una Brexit no deal, cioè senza alcun accordo, da parte di Boris Johnson. È sempre più evidente come la sopravvivenza dell’Ue sia incompatibile con le regole basilari della democrazia rappresentativa: o muore l’una, o muore l’altra.
È sicuramente preferibile che a saltare in aria sia la prima, mostro tirannico diretto da banchieri, Germania e Francia, ma finché la classe politica italiana ed europea sarà popolata da maggiordomi, imbroglioni, traditori e servi sciocchi, sarà la seconda a dover cedere il passo. E non è una buona notizia per nessuno.

Salvini è impazzito? Ritiri immediatamente la sfiducia e si continui col governo gialloverde

Ad agosto fa molto caldo e i colpi di sole sono frequenti. Ma quello che ha colpito Matteo Salvini al Papeete Beach deve essere stato particolarmente forte.
Annunciare la fine del governo gialloverde l’8 agosto, e la sfiducia al premier Conte, rischia di diventare la stronzata politica più grande nella storia della Repubblica.

In primis, perché il M5S da tempo flirtava con Pd e Ue, quindi era evidente che, in caso di crisi, avrebbe cercato di formare un nuovo governo col centrosinistra piuttosto che tornare alle urne e dimezzare la truppa parlamentare (senza contare la possibile non rielezione di molti deputati e senatori in virtù della regola dei due mandati).
“In secundis”, perché Mattarella non ha nessuna intenzione di far tornare il Paese alle urne, sapendo che ci sarebbe una secca affermazione della destra nazionalista, populista e anti europeista, e quindi il consenso sbandierato dai sondaggi per la Lega resterebbe puramente teorico.

Poi ci sono retroscena ancora più inquietanti: se si formasse un governo M5S-Pd benedetto da Mattarella, da Soros e dalla Ue, Salvini si troverebbe scoperto dal punto di vista giudiziario, poiché i magistrati rossi “alla Patronaggio” lo potrebbero rinviare a giudizio e non ci sarebbe più una maggioranza parlamentare a metterlo al riparo.
Insomma, il leader leghista rischierebbe non solo 4 anni di opposizione pur avendo un consenso attorno al 37%, ma potrebbe finire nelle grinfie della magistratura più politicizzata e pronta a tutto per fargli la pelle.

Ma come è possibile che Salvini abbia deciso una mossa così azzardata, pur non avendo alcuna garanzia da parte di Mattarella di tornare al voto (semmai il contrario)?
Una possibile spiegazione è che il leader leghista fosse convinto che Renzi si sarebbe nuovamente opposto all’accordo col M5S. Ma dopo l’ospitata di quest’ultimo al Bilderberg 2019 assieme a Stefano Feltri (vicedirettore del Fatto), era evidente che le oligarchie globaliste stessero tramando per fare il matrimonio “giallo-rosso”.
Altra possibile spiegazione è che Trump abbia dato mandato a Salvini di rompere l’alleanza con i pentastellati, considerati nocivi verso gli interessi della sua amministrazione. Due giorni prima della rottura, infatti, Steve Bannon aveva rilasciato un’intervista ritenendo “conclusa” l’esperienza del governo gialloverde.
Eppure ci chiediamo: quanto potere ha Trump nel condizionare le scelte di Mattarella e portare il Paese a nuove elezioni? Per chi scrive, è molto più probabile che Mattarella segua, come ha fatto fino adesso, i dettami dell’asse franco-tedesco e della Bce. E quindi che benedica un inciucio M5S-Pd piuttosto che l’ascesa di un governo integralmente di destra (Lega-FdI).

Considerato tutto questo, la teoria del colpo di sole al Papeete resta la spiegazione più plausibile per la mossa di Salvini. Cui ora non resta che fare tutto il possibile per ricucire, magari chiedendo solo un rimpasto (via Tria, Trenta, Grillo, Moavero) in cambio della prosecuzione dell’esperienza gialloverde.
Resta da capire se il M5S sarà disposto ad accettare: riportare al potere il Pd, sempre sconfitto alle ultime elezioni, significherebbe la fine definitiva del movimento, che pure aveva retto ai tanti tradimenti dei suoi esponenti (uscita da Euro e Ue, stop al vaccinazismo, chiudere o mettere insicurezza l’Ilva, no Tap, abrogazione di pareggio di bilancio, Fiscal compact e Ceta… tutto dimenticato), mentre la prosecuzione del cammino con la Lega potrebbe essere molto più difficile dopo il caos degli ultimi giorni.

Per il bene del Paese, ci auguriamo che lo strappo venga ricucito in extremis: un governo M5S-Pd non conviene alla Lega, non conviene al M5S, non conviene all’Italia, che si troverebbe nello scenario politico peggiore: una maggioranza fasulla (sconfitta nelle urne e non rappresentativa del Paese reale) europeista, immigrazionista, vaccinazista, vicina a tutti i poteri forti, prona ai diktat di Bruxelles, pro fanatismo Lgbt.
E che andrebbe ad eleggere un nuovo presidente della Repubblica sostanzialmente piddino nel 2022.
Dio ci scampi da una simile sciagura.

Perché Salvini e Di Maio non chiedono le dimissioni di Mattarella?

Quello che fa specie della bufera che si è abbattuta sul sistema giudiziario italiano, con l’inchiesta di Perugia che ha portato alle dimissioni di quattro consiglieri del Csm e del presidente dell’Anm Grasso, è non solo il modo in cui una simile bomba è stata minimizzata dai media, ma anche la sostanziale reticenza delle forze politiche nel condannare lo scandalo e i suoi protagonisti. 

Se la Lega non è mai stata eccessivamente “giustizialista” è anche vero che molti suoi esponenti sono stati negli ultimi tempi vessati da indagini e condanne che si possono definire “a orologeria” (come ai tempi di Berlusconi), per non parlare della sentenza che condanna il partito a risarcire allo Stato la cifra mostruosa di 49 milioni di euro.
Salvini, insomma, avrebbe tutti i motivi per condannare ad alta voce quanto sta accadendo in questi giorni, parlando di magistratura politicizzata (come in effetti traspare) e di sentenze mirate a distruggere una precisa parte politica.
La stessa cosa – e a maggior ragione – si può dire del M5S, che in quanto partito dell’“onestà” a prescindere dovrebbe scagliarsi con la massima forza contro la corruzione, compresa quella nell’amata magistratura. 

Invece le reazioni dei partiti di maggioranza sono state finora flebili, di fronte a uno scandalo che coinvolge i vertici del sistema giudiziario italiano, fino a raggiungere la vetta (o il colle) supremo: il Quirinale.
La presidenza della Repubblica è stata tirata in ballo nel caos procure in ben due intercettazioni: la prima volta da Lotti, che ha detto di aver “parlato con Mattarella” della questione delle nomine concordate con le altre toghe; la seconda in una conversazione tra il parlamentare Cosimo Ferri e Luca Palamara,  in cui si evince che il segretario giuridico del Quirinale, Stefano Erbani, informava magistrati del Csm (e da lì Ferri) della presenza di un trojan sul cellulare di Palamara.
A meno di colossali menzogne, dunque, il PdR, in quanto capo del Csm, non poteva non sapere quanto stava accadendo sotto il suo naso.

Di fronte a simili accuse, il Quirinale ha smentito ogni coinvolgimento, ma non ha querelato né Lotti né Ferri o Palamara. Resta quindi forte il dubbio che il coinvolgimento ci sia stato e, se è così, il minimo che va chiesto a Mattarella è che rassegni le dimissioni.
Invece si registra un inusuale silenzio da parte dei partiti di maggioranza: anche da quel Di Maio che prima della formazione del governo aveva chiesto l’impeachment a Mattarella per l’incarico che stava per conferire a Cottarelli.

Ricordiamo che Mattarella è un presidente nominato da un Parlamento sostanzialmente illegittimo (composto dalla maggioranza “drogata” dal Porcellum, dichiarato incostituzionale) e che ha finora sabotato con tutte le sue forze la linea sovranista del governo, bocciando Savona all’economia e  Sapelli a premier, cercando di dare l’incarico di presidente del Consiglio a Cottarelli, pretendendo l’inserimento nel governo di corpi estranei come Moavero e la Trenta, inveendo continuamente contro il sovranismo e difendendo nel modo più osceno l’Ue e le sue imposizioni assurde. 

Ci sono quindi tutti i motivi per chiederne le dimissioni o addirittura arrivare allo stato d’accusa se le prove di un suo coinvolgimento nello scandalo “toghe rotte” dovessero essere appurate, perché si configurerebbe un comportamento eversivo volto a pilotare le nomine e il comportamento dei giudici in accordo con una particolare parte politica: quella del Pd.
Di fronte a tutto ciò, le forze di maggioranza non possono tacere e devono prendere posizione affinché tutto il marcio della vicenda sia scoperchiato, e che tutti i colpevoli di comportamenti indebiti siano rimossi dai loro incarichi e ricevano le giuste sanzioni. Quirinale incluso.

Tria, Moavero e Giulia Grillo: tre corpi estranei nel “Governo del Cambiamento”

Quando si è faticosamente formato il governo M5S-Lega, nel giugno 2018, le aspettative degli italiani erano altissime: finalmente il Pd e le sue politiche venivano ricacciati in un angolo oscuro della nostra storia, e salivano al potere due forze che si definivano anti-sistema: il M5S, che faceva dell’onestà e della lotta alle “caste” la sua ragione sociale, e la Lega che si poneva in funzione anti-immigrazione (e quindi contro i fautori della “Open Society” – leggi immigrazione selvaggia – come Soros) e anti-Ue, ingaggiando pezzi da novanta quali Borghi e Bagnai in squadra.

A neanche un anno di distanza è forse troppo presto per dare giudizi tranchant, tenendo pure conto dei continui attacchi che la strana alleanza riceve ogni giorno, ma una cosa è certa: la “guerra all’Ue” promessa dai due partiti per anni non si è minimamente realizzata e alcuni elementi della compagine di governo sono in aperto contrasto con la mission “antisistema” che la maggioranza si era data. Certamente c’è stato lo zampino del Quirinale su alcune nomine (ricordiamo anche il veto su Sapelli premier), ma ciò non toglie che adesso i tempi siano maturi perché i “corpi estranei” nel governo vengano rimossi.

Il primo corpo estraneo è certamente il ministro dell’Economia Giovanni Tria. Tutti ricordano come il nome scelto dai partiti di maggioranza per il dicastero fosse Paolo Savona, e di come su quel nome stesse per naufragare il governo giallo-verde con l’arrivo di Cottarelli.
Bene, adesso Tria ha dimostrato in più di un occasione di essere inadatto al suo ruolo: sia Salvini che i 5 Stelle mostrano una progressiva insofferenza (ultimo caso, il rimborso ai truffati dalle banche) verso un ministro che sembra più attento alla volontà dell’Ue e dei “mercati” (al punto da dire che, in caso di sue dimissioni, questi si rivolterebbero) che della sua compagine di governo.
Tria ha persino incassato il plauso del francese Moscovici (sì, quello che insultava gli italiani …), che lo ha definito “l’uomo giusto al posto giusto”, e questo certo non depone a suo favore. Ciliegina sulla torta: suo figlio è nel team della nave Mare Jonio, quella di Casarini e della Ong Mediterranea. Direi che ci sono tutti gli estremi perché la maggioranza ne pretenda le dimissioni.

Il secondo corpo estraneo è Moavero Milanesi. Membro dell’Aspen Institute (un’emanazione dei Rockefeller al pari di Bilderberg e Trilaterale), già ministro di Monti e Letta, filoeuropeista, filo-Nato, Moavero è un altro membro del “partito del Quirinale” e sembra tutto ciò contro cui 5 Stelle e Lega si sono sempre scagliati. Che ora rappresenti all’estero il “governo sovranista” è assolutamente ridicolo.

Il terzo elemento estraneo, ma non voluto da Mattarella, è invece la grillina doc Giulia Grillo.
L’attuale ministro della Salute si è scagliata con durezza contro il decreto Lorenzin alla sua presentazione, definendolo un “decreto folle”, e “fatto senza alcuna logica dalla testa ai piedi”. All’epoca la Grillo si diceva contraria all’obbligo vaccinale e favorevole alla raccomandazione, sparando sui social frasi ad effetto come “La libertà è un diritto che la Lorenzin non può togliere con 4 righe su un pezzo di carta”.
A pochi mesi di distanza, tutto dimenticato: ora la Grillo sembra più invasata di Burioni, vuole vaccinare pure gli adulti per i concorsi pubblici o l’Erasmus, e ripete le solite palle sulla terrificante minaccia del morbillo, nuova peste nera.
Ricordiamo un po’ di dati sul terribile pericolo morbillo: nel 2018 (in pieno regime Lorenzin) sono decedute 8 persone, di cui un solo bambino e 7 adulti (dati ISS). Nel 2017 ci sono stati 4 decessi, di cui 3 bambini. Nel 2016, 2015 e 2014 non si è verificato alcun decesso. Ricordiamo che la banalissima influenza stagionale, da ottobre 2018 a inizio febbraio 2019, ha causato ben 52 morti. Un olocausto, al confronto.
Tutta questa isteria contro il morbillo (che peraltro NON SI PUO’ ERADICARE, come ammesso dalla stessa Grillo), risulta quindi completamente fuori luogo, e non giustifica ovviamente l’imposizione vaccinale di tipo nazistoide per ben altre 9 patologie, alcune delle quali non trasmissibili, come il tetano.
Nel frattempo aumentano a dismisura i casi di autismo e le misteriose “morti in culla”, che gli stessi bugiardini e sentenze di tribunale attribuiscono ai vaccini, ma che evidentemente per la Glaxo sono insignificanti effetti collaterali sulla via del profitto.
La cosa più vergognosa è stata vedere bambini perfettamente sani cacciati a marzo dalle scuole perché non in regola con tutte le vaccinazioni obbligatorie, come se nelle poche settimane rimanenti di asilo questi rappresentino un pericolo mortale rispetto ai mesi precedenti.

Poi il M5S si interroga sul perché stia perdendo consensi ad ogni elezione: se i grillini vogliono un consiglio spassionato, caccino la Grillo, cancellino l’obbligo vaccinale come avevano promesso e tirino fuori gli attributi nei confronti dell’Unione Europea. Se si comportano come il Pd, faranno presto la stessa fine di Renzi e compagni.

La Banca d’Italia ritorni sotto il controllo politico

Ha fatto scalpore la recente lettera del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, alle Camere in occasione dell’istituzione della Commissione parlamentare di inchiesta sulle banche.
Nella lettera si affermava il principio per cui, in sostanza, il potere bancario è indipendente e quindi non questionabile dalla politica. Bce e Banca d’Italia non possono prendere ordini dai governi nazionali, è questo il succo del discorso di Mattarella, e il Parlamento non deve intromettersi troppo negli affari degli istituti finanziari.

Tutto questo stride clamorosamente col dettato costituzionale, di cui Mattarella dovrebbe essere fedele interprete.
All’art. 47 della nostra Carta si legge, infatti: “La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito”, affermando così in modo inequivocabile la supremazia di Parlamento e Governo, espressioni della volontà popolare, sugli istituti di credito, banca centrale inclusa.
Non solo: l’art. 41 recita “L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
Cosicché oltre alla finanza, anche le altre attività economiche sono rigorosamente poste al di sotto del supremo principio dell’utilità sociale e, in generale, del bene pubblico.

È la politica che regola le istituzioni finanziarie, e queste non possono ritenersi indipendenti né dal controllo politico né da quello giudiziario, sebbene la prassi degli ultimi anni voglia convincerci del contrario.
La cosiddetta “indipendenza” delle banche centrali, è un concetto caro ai neoliberisti, e che sia un bene per la società sono solo loro a pensarlo.
Citando il premio Nobel per l’Economia Joseph Stiglitiz, non vi è alcuna prova che una banca centrale indipendente faccia meglio l’interesse pubblico di una sotto il controllo politico.
Anzi, semmai è nel primo caso che la politica finisce per essere sottoposta ad un cartello di banchieri i cui interessi possono essere decisamente opachi.

In Italia, come sappiamo, il famoso “divorzio” tra Banca d’Italia e Tesoro avvenne nel 1981, quando l’allora ministro del Tesoro Beniamino Andreatta notificò con una lettera al governatore di Bankitalia, Azeglio Ciampi, che non avrebbe più dovuto acquistare buoni del Tesoro nazionali in caso di necessità, costringendo così lo Stato italiano a doversi rifornire dai cosiddetti “mercati”, ovvero altri finanziatori pubblici o privati.
Secondo illustri economisti come Nino Galloni, ex direttore del Ministero del Lavoro, è da quel momento che il debito pubblico italiano ha iniziato ad impennarsi, e questo non per la “politica sprecona”, come spesso si dice, bensì proprio per il divorzio Bankitalia-Tesoro.
Secondo Galloni, tutto ciò è stato il frutto di una precisa manovra franco-tedesca volta a deindustrializzare e desovranizzare l’Italia, eseguita con la complicità di numerosi traditori interni. Per far ripartire il Paese, secondo l’economista, si dovrebbe tornare ad una condizione pre-1981, con una moneta nazionale e ampia libertà di spesa pubblica.

È inevitabile che la rinascita, quindi, passi da un’uscita dall’Euro, per cui sarebbe auspicabile un referendum consultivo come invocato nel precedente articolo, e la ripresa degli strumenti di politica monetaria ed economica ad oggi ceduti in modo assolutamente controproducente alla Bce e alla Ue.
All’interno della gabbia europea, nella moneta unica e lasciando il controllo delle nostre finanze ad istituzioni escluse dal controllo politico, l’Italia non si riprenderà mai.
Occorre pertanto che la politica riprenda in mano quegli strumenti che servono a far ripartire il Paese, se necessario uscendo unilateralmente da Euro e Ue, e rimettendo la Banca d’Italia sotto il controllo governativo.

Che Mattarella poi neghi al Parlamento e al Governo il diritto-dovere non solo di investigare a fondo su eventuali illeciti in ambito bancario, ma anche di mettere il settore sotto controllo, è totalmente assurdo e incostituzionale.
Ricordiamo che il PdR è il garante della Costituzione: qualora si ponga in evidente difesa dell’Ue e di oscuri interessi bancari invece che dei cittadini italiani, sconfina pericolosamente nelle fattispecie di alto tradimento e attentato alla Costituzione, reati previsti dall’articolo 90 della nostra Carta. Il Parlamento valuti se sia necessario prendere provvedimenti.

Et voilà, il nuovo Tsipras eccolo qua

Avere sempre ragione alla lunga può rivelarsi fastidioso. E’ quello che ci vien da pensare negli ultimi giorni dopo l’uscita allo scoperto di Di Maio, novello Tsipras che – come pronosticato già due anni fa –  ha puntualmente fatto naufragare ogni possibilità di un governo populista ed euroscettico, poco dopo le prime consultazioni con Mattarella.
Col popolo leoni e davanti al PdR coglioni, potrebbe essere il nuovo motto dei 5 Stelle.
Come tutti sanno Di Maio, dopo il colloquio al Quirinale, ha improvvisamente dismesso gli abiti populisti e ambiguamente euroscettici per abbracciare l’ortodossia neoliberista più pura e mortifera: si all’Ue, sì all’Euro e sì alla Nato, con uno zelo degno della peggiore Bonino.
E, non contento, ha aperto al Pd senza se e senza ma, come se un’alleanza con Renzi e i suoi fosse migliore di un patto con Berlusconi.
E’ chiaro ed evidente che Mattarella, probabimente imbeccato da Napolitano, ha spiegato a Giggino che per diventare premier deve abbandonare ogni velleità populista e quindi ogni accordo con il Centrodestra, rassicurando tutti i poteri forti possibile: “mercati” (ossia speculatori e grandi banche d’affari), Unione Europea, Fmi e Bce, Stati Uniti e gli altri “alleati” della Nato. Da qui le stupefacenti affermazioni di Di Maio, del tutto in controtendenza con quanto predicato per anni, pur con diverse ambiguità, dai grillini.
Ci chiediamo: quanti voti avrebbe preso Di Maio se avesse dichiarato queste posizioni  in modo chiaro PRIMA del voto? Probabilmente non avrebbe raggiunto il 20%.
Se le cose dovessero mettersi così, con un accordo di governo tra M5S, Pd e Leu, non solo si realizzerebbe quanto da noi paventato prima delle elezioni, ma si consumerebbe il SECONDO COLPO DI STATO a danno del Centrodestra dopo il 2011: prima il golpe dello spread ai danni di Berlusconi, adesso l’estromissione della coalizione vincente alle elezioni, il Centrodestra guidato da Salvini con il suo 37%, dal governo del Paese.

Di Maio sta per macchiarsi – e macchiare tutto il M5S – di un atto di gravità inaudita nella storia del Paese, riportando al potere un partito, il Pd, detestato dagli italiani, punito più e più volte alle urne e responsabile di politiche distruttive nei  confronti della Nazione. Ha ancora tempo per evitare questo disastro.
Meglio un accordo col Centrodestra, e anche con un Berlusconi sempre meno influente e destinato a farsi da parte tra pochi anni per evidenti motivi anagrafici, che riesumare gli appestati del Pd e riportarli al governo.
Giggino avvisato, mezzo salvato.

Un governo già dimissionato dagli italiani cerca di cambiare la Costituzione. In Parlamento va in scena l’assurdo

napoli-sfiducia-renziSugli scandali che stanno colpendo il governo in questi giorni è stato già scritto tutto in questo post, per cui non occorre aggiungere altro. Ora va però spostata l’attenzione su alcuni degli ultimi sondaggi che riguardano da vicino Renzi e i suoi.

Secondo una rilevazione pubblicata il 10 aprile su Repubblica, il 45% degli italiani chiede le dimissioni dell’intero governo. In un’altra realizzata per la trasmissione Ballarò e pubblicata il 6 aprile, il 54% vuole le dimissioni del ministro Boschi.
Per un sondaggio trasmesso da Agorà l’8 aprile, invece, Renzi risulterebbe “amico delle lobby” secondo il 44% degli intervistati (contro il 32% che non sarebbe d’accordo).
E non si può dire che Repubblica e Rai 3 siano fonti vicine a Grillo.

Ora, la cosa raccapricciante è che un governo inquinato dagli scandali al punto tale che il suo premier invoca una nuova legge per bloccare la pubblicazione delle intercettazioni (in perfetto stile berlusconiano), ha fatto approvare in via definitiva la riforma della Costituzione. La votazione definitiva si è tenuta alla Camera il 12 aprile, ed occorrerà aspettare il mese di ottobre per poterne bloccare l’effetto via referendum.

Ricordiamo che il ministro delle Riforme è proprio quella Maria Elena Boschi che più di mezza Italia vuole dimissionata. E che quasi metà del Paese vuole che l’intero governo vada a casa.

L’assurdità è tale che il presidente Mattarella avrebbe dovuto intervenire con decisione e bloccare tutto, sciogliendo le Camere e indicendo nuove elezioni. Ancora una volta (come quando, da giudice della Corte Costituzionale, permise alle Camere di continuare a legiferare nonostante la pronuncia di incostituzionalità sul Porcellum), il suo silenzio è stato complice della “dittatura morbida” renziana.

Un Parlamento già delegittimato alla radice (perché eletto con una legge poi dichiarata incostituzionale) e un governo delegittimato in primis dal non essere vera espressione della volontà popolare, e poi da tutti gli scandali che lo hanno colpito da Banca Etruria in poi, non potrebbero nemmeno occuparsi di ordinaria amministrazione. Figurarsi cambiare la Carta fondamentale.

JP-Morgan-RenziAppare quindi evidente che sia in atto un  vero e proprio colpo di Stato mascherato, per portare avanti il progetto di grandi poteri economici e finanziari come la JpMorgan, che chiedeva agli Stati del sud Europa di “liberarsi dalle Costituzioni antifasciste“. Tra l’altro Renzi ha incontrato in passato più volte Tony Blair nella sua nuova veste di superconsulente della banca d’affari, prima e dopo l’elezione a premier, quindi molte cose tornano: la sua rapida ascesa e la sua  gran voglia di mettere mani alla Carta.

E sentite quali sono gli ostacoli, secondo JpMorgan (denunciata dal governo americano per aver scatenato la crisi dei subprime, da cui deriva la crisi attuale in Europa) alla serena applicazione delle tanto amate politiche di austerità nei Paesi del sud: “Le costituzioni mostrano una forte influenza delle idee socialiste, e in ciò riflettono la grande forza politica raggiunta dai partiti di sinistra dopo la sconfitta del fascismo. (…)
I sistemi politici e costituzionali del sud presentano le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti; governi centrali deboli nei confronti delle regioni; tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori; tecniche di costruzione del consenso fondate sul clientelismo; e la licenza di protestare se sono proposte modifiche sgradite dello status quo.”

Tutti elementi considerati in modo negativo. Viene in mente niente rispetto alle politiche dell’esecutivo?

E tanto per rafforzare i dubbi, questo governo ha già dimostrato in più occasioni di rispondere solo agli interessi dei poteri forti, banchieri e petrolieri in primis, e non certo a quelli della cittadinanza.
Sarebbe gradito quindi se ora gli italiani si facessero sentire votando Si al referendum sulle trivelle del 17 aprile (in attesa di quello di ottobre sulle riforme costituzionali) e chiedendo a gran voce di mettere la parola fine a questa squallida parentesi di governo.

L’amichevole accoglienza dei veronesi a Renzi l’11 aprile al Vinitaly

 

(Articolo aggiornato al 12 aprile 2016)