Il referendum contro le armi all’Ucraina (e quegli squallidi personaggi che mirano a dividere il fronte del dissenso)

Su questo blog abbiamo sempre sostenuto la necessità di smarcare l’Italia dalla guerra in Ucraina, interrompendo i rifornimenti di armi a Kiev e costringendo i belligeranti a sedersi al tavolo delle trattative, possibilmente in presenza anche degli americani.
Niente di trascendentale in realtà, dato che l’art. 11 della nostra Costituzione vieta espressamente la partecipazione dell’Italia a guerre che non siano strettamente di difesa dei propri confini.
Su questo blog abbiamo anche sempre sostenuto la necessità di unire il fronte del dissenso, specialmente dopo il pessimo esito delle elezioni politiche, in cui la frammentazione dei partiti “antisistema” ha portato alla sconfitta di tutti: Italexit, Italia sovrana e popolare, Vita ed altri. Partiti o movimenti con sostanzialmente le stesse idee, e tutti rimasti fuori dal Parlamento per delle stupide divisioni cosmetiche.
Ora che siamo a meno di un anno dalle elezioni europee, si sta ripetendo lo stesso copione. E a giocare al Dividi et impera (sempre a favore degli stessi registi massonici) sono proprio quei soggetti che fingono di essere contro i poteri forti, salvo poi favorirli in ogni modo. E cioè i dirigenti di Democrazia sovrana e popolare, nello specifico Rizzo e Toscano.

Ma andiamo con ordine.
Da quasi due mesi è stata organizzata una raccolta firme per fermare l’invio di armi italiane in Ucraina.
Un’iniziativa meritoria, promossa dal comitato Ripudia la guerra di Enzo Pennetta e da Generazioni Future di Ugo Mattei.
Questo formalmente, perché dietro l’apparente “apoliticità” dell’iniziativa si nasconde un evidente intento di propaganda politica da parte di Democrazia sovrana e popolare di Rizzo e Toscano, i quali gestiscono anche la pagina Fb del referendum.
Questi soggetti, dopo aver chiesto la partecipazione delle altre forze antisistema in nome dell'”unità” e dell’ “obiettivo comune”, hanno cominciato a sparare a zero sugli altri partiti in questione NONOSTANTE alcuni esponenti di questi stessero collaborando attivamente alla raccolta firme.
In particolare, esponenti di Italexit – Per l’Italia con Paragone, come l’autore di questo blog.
Nonostante l’aiuto fornito alla causa pubblicizzando il referendum sui canali social e raccogliendo le firme in prima persona, in almeno DUE occasioni Rizzo e Toscano sparavano a zero contro Paragone (e poi anche contro la Cunial), e precisamente in questo post di Rizzo (in cui veniva vigliaccamente utilizzata la stessa pagina del referendum) e successivamente in questa intervista al veleno di Toscano pubblicata su ByoBlu, mirata ad attaccare gli altri partiti antisistema nel bel mezzo della raccolta referendaria.
Un comportamento francamente inspiegabile e immotivato, tanto più che siamo lontani da qualsiasi competizione elettorale e che, come detto, esponenti di questi stessi partiti stanno aiutando attivamente la raccolta. Questo tipo di azioni, ovviamente, non fa che sabotare la collaborazione necessaria allo scopo comune, in un momento in cui i termini stanno peraltro scadendo.

Forse Rizzo e Toscano hanno paura che Italexit si “intesti” almeno in parte la raccolta firme, ma questo non ha senso, dal momento che si sa che nel comitato promotore non è presente Paragone.
Si tratterebbe, al limite, di un appoggio esterno e pure parziale.
Questa si rivela quindi, ancora una volta, soltanto come una volontà di escludere qualsiasi tentativo di accordo e collaborazione con le altre forze del dissenso, riproponendo per le Europee la stessa frammentazione che ha portato alla sconfitta comune delle Politiche.
Una strategia perdente, o meglio vincente per gli evidenti mandanti massonici di questa coalizione (ci ricordiamo tutti il significato di gatekeeper, vero?).
A riprova della malafede dei personaggi in questione, vogliamo ricordare come Diego Fusaro, il fondatore di Ancora Italia, abbia letteralmente mandato a quel paese Toscano, accusandolo di voler egemonizzare il partito e di sabotare ogni dialogo con Italexit di Paragone, che avrebbe forse portato ad un fruttuosa collaborazione. Ora vediamo come le sue parole fossero veritiere.

Riassumendo: manca poco più di un mese al termine della raccolta firme e i suoi “padrini” politici, invece di apprezzare la collaborazione, gettano fango su chiunque cerchi di dare una mano ma non sia della loro ristretta parrocchia.
E questo nonostante, come ammesso di recente da Ugo Mattei, si sia parecchio lontani dal quorum.
Un comportamento del genere non indica la volontà di far riuscire la raccolta firme: al contrario, indica quella di farla fallire.
Aggiungiamo che è molto discutibile anche l’organizzazione dei banchetti: sulle mappe regionali è presente un numero di referenti di Generazioni Future ridicolo (in regioni come Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Molise, Sardegna e Umbria addirittura NESSUNO), mentre quelli di Ripudia la guerra molto spesso, pur essendo più numerosi, non dispongono dei moduli con il quesito dello stop all’invio di armi, di “proprietà” di Generazioni Future.
Anche questo non aiuta il raggiungimento del quorum, per cui nella stragrande maggioranza dei casi l’unica opzione è firmare online, utilizzando gli odiatissimi Spid e QR code.

Ma del resto cosa fanno i gatekeeper?
Fingono di portare avanti un’iniziativa importante, e poi la gestiscono in modo raffazzonato, disorganizzato, con molte pecche, e così la mandano in malora per la gioia dei poteri forti che, in maniera consapevole o meno, servono.

In definitiva: ci auguriamo che la raccolta firme abbia successo e che i referendum si facciano.
Su questo blog e sulla nostra pagina Fb li stiamo promuovendo attivamente, perché crediamo nell’obiettivo comune.
Se la smettessero di remare contro anche gli stessi organizzatori, con le loro evidenti mancanze e con le loro sparate che francamente lasciano basiti, magari si riuscirebbe sul serio a raggiungere qualcosa di concreto.

P.s.
Qui di seguito alleghiamo le mappe dei banchetti dove è possibile firmare di persona e il link dove firmare online.
C’è tempo fino al 20 luglio.

I primi passi del governo Meloni: meglio di niente, ma si può fare di più

Sono ormai passati due mesi dalle ultime elezioni politiche, che hanno sancito la vittoria del centrodestra e la disfatta sia dei partiti (solo nominalmente) di sinistra, sia del cosiddetto fronte sovranista, penalizzato da fattori che andremo ad analizzare. 

La vittoria del centrodestra non è del tutto una cattiva notizia, essendo preferibile sia ad una vittoria del centrosinistra, sia ad un governo di larghe intese con dentro Pd e M5S, com’era stato con Draghi.
Un governo di centrodestra a trazione Fratelli d’Italia è quindi un esito che non bisogna subito giudicare come negativo, ma che dovrà naturalmente essere valutato passo dopo passo.

Negli articoli precedenti avevamo caldeggiato la nascita di un fronte unico per la sovranità nazionale e la libertà di scelta, euroscettico e contrario ad ogni coinvolgimento nella guerra in Ucraina, contenente i principali attori sulla scena politica, quali Italexit, Ancora Italia, Vita di Cunial ed altri. Questo fronte non si è concretizzato, portando alla scontata sconfitta di tutti i partitini e movimenti in questione, nessuno dei quali ha superato la soglia di sbarramento. 
Inutile dire che, le elezioni organizzate in fretta e furia in piena estate dai soliti furbetti una volta maturata la pensione dei parlamentari, hanno favorito questa divisione, il resto lo hanno fatto gli egoismi individuali dei singoli capipartito.
A penalizzare i partiti antisistema hanno concorso anche il forte astensionismo (oltre il 40%) e la strategia della Meloni di porsi come unica opposizione al governo Draghi, che le ha permesso di essere percepita come patriottica e – appunto – antisistema, anche strizzando l’occhio al mondo No Vax. Si spera che si riesca a fare tesoro di questa lezione, e presentarsi con una lista unica alle prossime tornate elettorali. 

Per quanto riguarda il nuovo esecutivo, si diceva, è forse il meno peggio. 
Sarebbe stato meglio solo con l’inserimento in maggioranza di un partito come Italexit al posto di Forza Italia, il fratello gemello del Pd, ma perché ciò fosse possibile sarebbero state necessarie percentuali ben oltre il 3% per il partito di Paragone, e la disponibilità ad entrare a far parte di un governo di destra, cosa sempre esclusa dal leader. Quindi in definitiva va bene così. 

Ora però occorre che il nuovo governo attui delle politiche che portino un vero cambiamento rispetto all’agenda Draghi, e questa è la vera sfida dell’esecutivo Meloni. 
Gli inizi sono stati così così: bene il reintegro degli operatori sanitari (sebbene tra mille difficoltà imposte da alcune regioni ed Asl); bene i primi provvedimenti contro Ong e trafficanti del mare; bene gli stanziamenti (21 miliardi) contro il caro bollette e gli incentivi alla natalità. 
Molto meno bene il rinnovo delle sanzioni alla Russia e dell’invio di armi all’Ucraina; la scomparsa della cancellazione delle multe agli over 50 non vaccinati e di forme di risarcimento per i sanitari sospesi dal lavoro; la cancellazione del reddito di cittadinanza prevista per il 2024 (è giusto tenerlo in vita, ma potenziando i controlli e assicurando formazione e forme di impiego anche in lavori di pubblica utilità per chi ne beneficia); l’adesione ad un europeismo convinto, che esclude ogni possibilità di uscita da Ue ed Euro (ricordiamo che prima della fine del governo gialloverde si stava procedendo alla stampa dei famosi minibot, propedeutici ad una possibile uscita dalla moneta unica).  

Insomma: il governo Meloni sta facendo bene in alcuni ambiti, ma potrebbe “osare di più”, e con il pieno sostegno popolare, che l’ha votata anche per le sue posizioni anti-dittatura sanitaria e perché la considera una patriota, quindi pronta a mettere l’interesse nazionale prima dei diktat europei ed atlantici, in un momento in cui seguire gli Usa e Zelensky nella guerra alla Russia sembra sempre più un autogol per tutti i Paesi europei.
Per quanto riguarda l’obbedire ai vincoli di Bruxelles, possiamo solo ricordare come tutti i partiti che hanno dichiarato guerra aperta alla Ue, arrivando ad esprimere persino la volontà di uscirne, hanno ottenuto percentuali da oltre il 30%, M5S prima e Lega salviniana poi. 
Si può fare di più, si deve fare di più. 

P.s. Suggeriamo alcune possibili riforme che il nuovo governo potrebbe fare da subito:

  • Cancellazione integrale del Green Pass, negli ambiti in cui ancora esiste, e impegno a non riportarlo più in auge in alcun modo;
  • Cancellazione di ogni forma di obbligo vaccinale, risarcimento dei lavoratori sospesi per non avervi adempiuto, cancellazione delle multe per gli over 50;
  • Commissione d’inchiesta per la gestione pandemica ad opera dei governi precedenti, come del resto promesso dalla stessa Meloni;
  • Stop alle ostilità verso la Russia con la piena neutralità dell’Italia.
    Abbastanza utopico viste le recenti dichiarazioni di amore della Meloni per Zelensky, ma l’Italia ha tutto da perdere nel continuare a seguire un pazzo cocainomane che a momenti ci trascina nella Terza guerra mondiale (vedi incidente con la Polonia) e i suoi burattinai di Washington. I Fratelli d’Italia dimostrino di essere patrioti di fatto, oltre che di nome.

Il 25 settembre votate l’Antisistema

Si avvicinano le nuove elezioni politiche (a pensione puntualmente maturata dai parlamentari) e inevitabilmente la domanda è: chi votare?
L’astensionismo sarà con ogni probabilità il grande protagonista di questa tornata elettorale, dopo due anni orribili e i cosiddetti partiti “sovranisti” (M5S e Lega) che hanno tradito tutto quello che avevano promesso, spalleggiando Draghi Goldman Sachs, i diktat europei, la Dittatura Sanitaria e l’invio di armi in Ucraina con le sanzioni alla Russia, nel segno dell’atlantismo più servile e masochistico.
La disaffezione per la politica sarà altissima, ma ovviamente non risolverà nulla.
Anche se votasse il 10% della popolazione, sarebbe quello a decidere il nuovo Parlamento. L’unica soluzione è quindi votare i cosiddetti partiti antisistema.

Nell’ultimo post, abbiamo caldeggiato una unione del fronte sovranista e antisistema tale da creare una grande coalizione, in grado di raggruppare il dissenso e costituire una forte alternativa al Partito Unico della Nato, della Ue e della Dittatura Sanitaria.
Questa unione non si è realizzata a causa dei protagonismi tra le varie parti, portando alla nascita di 4 principali liste sovraniste, tra quelle che sono riuscite a raccogliere le firme in pieno Ferragosto.
Ovvero: Italexit con Paragone, Italia Sovrana e Popolare di Rizzo e Toscano, Vita di Polacco e Cunial, Alternativa per l’Italia di Adinolfi e Di Stefano.
E’ inutile ribadire che queste liste sostanzialmente arriveranno a farsi una sorta di guerra tra poveri e fratricida per superare lo sbarramento, portando avanti più o meno le medesime posizioni sui temi più importanti.
A questo punto, la soluzione migliore per evitare che nessuna di queste liste passi il 3%, sarebbe votare compatti per una sola di loro.
E questa lista, a nostro parere, dovrebbe essere Italexit di Paragone.
Il motivo è semplice: Paragone è il leader mediaticamente più forte di tutti, essendo abituato al confronto pubblico e a gestire i dibattiti televisivi, inoltre ha schierato una squadra di altissimo livello comprendente Giovanni Frajese, Giuseppe Barbaro, Andrea Stramezzi, Marco Mori, Giuseppe Sottile, Stefano Puzzer, Marione Improta, Francesco Amodeo, Nunzia Schilirò, Rosanna Ruscito.
Ovvero i migliori esponenti dell’opposizione all’europeismo, all’atlantismo e alla Dittatura Sanitaria.
Per non parlare del programma (qui sintetizzato in 20 pagine), che comprende punti importanti come: l’uscita da Euro e Ue; il No secco a Green Pass e obbligo vaccinale; una commissione d’inchiesta per la gestione della pandemia; il reintegro con risarcimento di tutti i lavoratori e professionisti sospesi o radiati perché non inoculati; il No secco alle sanzioni alla Russia e all’invio di armi in Ucraina; la lotta a globalismo e neoliberismo; la difesa del Made in Italy; lo stop all’immigrazione clandestina, e tanto altro.
Nessun dubbio, quindi, che Italexit vada sostenuto.
Ma c’è un grande PERO’.

Le recenti dichiarazione di Paragone, anche in tv dalla Annunziata, non lasciano spazio a dubbi: Italexit non si allea con nessuno. Questo significa che, in caso di ingresso in Parlamento, non supporterà né il centrodestra né il centrosinistra.
E’ una posizione che riteniamo molto pericolosa, e simile al 5 Stelle delle origini (partito gatekeeper che aveva come fine la continuità al governo del centrosinistra).
In breve, se dovesse vincere – come sembra – il centrodestra, e Italexit dovesse superare lo sbarramento, potrebbe togliere al cdx proprio i voti necessari per governare da solo, senza Pd e M5S.
Ma, venendo meno i voti del partito di Paragone, il centrodestra potrebbe essere nuovamente costretto a governare con uno dei partiti di centrosinistra, dando vita ad una grande coalizione simile a quella che ha governato finora con Draghi.
Nessuna novità sostanziale, quindi, rispatto a quanto abbiamo avuto negli ultimi
due anni.
Si potrà obiettare che Lega e Forza Italia hanno obbedito diligentemente a tutto quanto veniva imposto da Draghi, ma un governo interamente di centrodestra resta probabilmente un filino meglio di un governo in cui il Pd sia determinante.
Per cui, come al solito la priorità è rispedire il Pd all’opposizione e tenercelo.

In definitiva, la nostra soluzione per le prossime elezioni è quella di supportare Italexit di Paragone, ma successivamente il partito dovrebbe sostenere la coalizione di centrodestra per evitare un disastroso ritorno del Pd al governo (o anche del M5S, che è sostanzialmente sulle stesse posizioni).
Facendo questo, Italexit potrebbe diventare l’ago della bilancia del prossimo esecutivo, in grado di porre il veto su tutte le tematiche più importanti e anche farlo cadere se necessario.
Diversamente, il partito di Paragone rischia solo di sottrarre voti al centrodestra, costringendolo poi a cercare l’appoggio di qualche partito di centrosinistra e limitandosi ad una sterile opposizione da 3-4%. La stessa strategia del M5S delle origini, che poi non a caso ci regalò il governo Renzi pur di non accordarsi con Bersani.
Al leader del partito la decisione, e la responsabilità per il prossimo esecutivo.

What is and what should (never) be. Perché i grillini potrebbero agevolmente salvare l’Italia e perché non lo faranno

Capisco che scomodare i Led Zeppelin per parlare del M5S e come citare Einstein per parlare di Dj Francesco, ma il titolo del pezzo ricorda troppo la situazione attuale in Italia.
Arrivata finalmente la sentenza della Consulta che ha sfracellato l’ennesima legge porcata degli incapaci renziani, si potrebbe finalmente andare al voto con due leggi costituzionali: il “Legalicum” (o Italicum corretto) alla Camera e il “Consultellum” (o Porcellum corretto) al Senato. Se le due leggi insieme non dovessero piacere, si può agevolmente applicare una delle due anche all’altra Camera. Roba semplice, se non ci fosse la volontà di molti parlamentari di tirare a campare per il vitalizio fino a settembre.
In ogni caso, se andare a votare ora sarebbe semplicissimo, ben più complicato sarebbe andare a governare.

Poiché alla Camera il ballottaggio non c’è più, rimane la soglia del 40% per ottenere il premio di maggioranza del 54% dei seggi (resta da chiarire se si applichi anche alla coalizione: nell’Italicum originale si parlava solo di partito). Ora, risulta evidente che, stando così le cose, il premio non se lo aggiudicherà nessuno, a meno di spettacolari cambiamenti.
Pd e M5S veleggiano da tempo intorno al 30%, con alti e bassi. Lega e Fratelli d’Italia, se uniti, possono ambire al 20% circa. Forza Italia è sopra al 10%. Il resto se lo spartiscono gli altri partitini di minoranza.

A questo punto un dato salta all’occhio: le cosiddette forze “antisistema” (M5S, Lega e FdI) se unite, si avvicinerebbero senza grandi difficoltà al 50%, fermo restando che un accordo di governo lo si può fare sia prima, con una coalizione eterogenea, sia dopo, per la necessità di avere i numeri in Parlamento. Per tenere insieme quest’alleanza sarebbe sufficiente cavalcare il crescente sentimento antieuropeista e anti-establishment che soffia in Europa, il sovranismo, la lotta ai poteri forti, alla globalizzazione, all’Euro e all’immigrazione selvaggia, forti del risultato della Brexit, della vittoria di Trump, del trionfo del No al referendum e delle sempre più impopolari politiche messe in campo dal Pd e dall’Unione Europea.

Tutto comodo, tutto facile, tutto servito su un piatto d’argento. E invece Grillo e Casaleggio che fanno? Prima combinano il pasticcio magno del tentato ingresso nell’Alde (di cui si è trattato nell’articolo precedente), poi inviano al World Economic Forum di Davos (un ritrovo di massoni supercapitalisti che se la batte con Bilderberg e Commissione Trilaterale) Carla Ruocco, che subito dopo se ne esce con un post assolutamente inedito sulla necessità di realizzare gli Stati Uniti d’Europa (apriti cielo); successivamente impongono una linea comunicativa dittatoriale a tutti gli eletti a 5 Stelle tramite post sul blog (come se fossero di fresca nomina e inesperti); infine, ciliegina sulla torta, appena uscita la sentenza della Consulta dichiarano in pompa magna di ambire al 40% e non voler fare alleanze con nessuno.

Allora, facciamo un’analisi di tutte queste castronerie. Ridurre ulteriormente la già scarsa libertà di espressione nel 5 Stelle significa volere una serie di burattini, portavoce NON della rete e degli attivisti, bensì di Grillo e Casaleggio junior, che così impongono la loro linea ad una serie di esecutori che devono solo attuarla in accordo con lo staff comunicazione. A chi questo non sta bene, non si lascia che l’alternativa di andarsene (tra  fischi e insulti, di solito), senza tenere conto dei mal di pancia che le giravolte dei vertici possano causare a tutti gli eletti del partito. E non si venga a parlare di democrazia diretta, perché le votazioni sul blog appaiono evidentemente pilotate e una gran presa in giro, come reso evidente dal caso Alde.

Poi c’è la Ruocco a Davos. Anche qui non si venga a dire che è andata da sola e di sua spontanea volontà, dato che i vertici 5 Stelle decidono e controllano pressoché tutto, e sembra difficile che la Ruocco sia andata veramente lì “a titolo personale”, così come non lo fece Di Maio quando andò a pranzo con la Trilaterale e con lobbisti vari. E’ evidente la strategia del Movimento, in atto da tempo, di accreditarsi presso i potenti d’Europa e oltreoceano.
Poi, a giudicare della tirata sugli Stati Uniti d’Europa, alla Ruocco sembra che il post glielo abbia scritto Soros in persona (peraltro presente in quei giorni a Davos).

Infine la decisione suicida di non fare alleanze con nessuno. Come detto, sarebbe sufficiente un accordo con Salvini e Meloni (che hanno molti punti in comune con il M5S delle origini sul fronte euroscettico, anti-establishment e dell’immigrazione) per andare al governo senza particolari patemi, anche in caso di legge elettorale proporzionale pura. Correndo da soli, invece, i grillini costringeranno Lega e FdI a una nuova alleanza con Berlusconi, e – nel caso quasi certo che nessuno raggiunga il 40% – ad una nuova grossa coalizione Pd – Centrodestra per avere la maggioranza parlamentare. Lo stesso incubo del 2013 servito nuovamente, e tutto a causa della disastrosa politica grillina del “no alleanze”.
L’unica speranza è che il M5S vinca anche correndo da solo, e che per governare si allei dopo il voto con Lega e FdI (come alcuni vociferano) per portare avanti un’agenda seriamente euroscettica.
Diversamente, è difficile che i grillini diano il sostegno a un governo di Centrodestra o ad uno del Pd (il primo sicuramente preferibile per colpire l’Unione Europea e i poteri forti della finanza mondiale).
Ma a questo punto è difficile pensare che il M5S voglia veramente mordere sui temi Euro, Ue, lotta alle lobbies e ai gruppi di potere sovranazionale. Le smentite recenti in materia sono state tante ed evidenti. E Alessandro Di Battista, il più sovranista e amato della truppa, sembra sempre in secondo piano come candidato premier rispetto a Luigi Di Maio, già screditato da diverse condotte equivoche.
Quasi verrebbe da augurarsi che il 40% vada ad un centrodestra organizzato in lista unica e dominato dai temi sovranisti. E non ci saremmo mai aspettati di dover tifare per il ritorno al governo della Lega e degli ex An. Ma tra tanti mali bisogna pur scegliere il minore, e sembra che il M5S da un po’ di tempo a questa parte non lo sia più.