Neoliberismo economico ed etico. Il duplice assalto ai diritti dei lavoratori e all’identità culturale europea

Sono anni che sentiamo ripetere il mantra della libertà, delle frontiere aperte, dello Stato che deve contenere il suo ruolo, del mondo che deve diventare sempre più accessibile a tutti, senza limiti di sorta, e la retorica della “buona” globalizzazione e integrazione contro la “cattiva” chiusura nei propri confini.
Questa retorica falsissima e ipocrita, che fa leva sull’istintiva bontà di chi non capisce quali siano gli interessi sottintesi, è in realtà il grimaldello per far accettare alle grandi masse la religione neoliberista in economia e il totale relativismo etico sul piano morale.

Sul piano economico, il neoliberismo promuove la totale assenza di limiti e restrizioni alla libera circolazione delle merci, dei servizi, delle persone e dei capitali, secondo uno schema che è quello fondativo della Comunità Europea (poi divenuta Unione Europea) e dei trattati di “libero scambio” come Ceta, Ttip e Tisa. E’ inutile ribadire come questa “libera circolazione” si traduca nella pratica con il massacro dei piccoli produttori per mano dei più grandi, con il trionfo del produttore peggiore (in grado di abbassare costi e prezzi dei prodotti, anche con metodi eticamente discutibili) a danno di quello più virtuoso, e con il trionfo delle grandi economie di scala su quelle piccole e locali.
E quindi trionfo del grande capitale sulla piccola e media impresa, ricchezza che si concentra sempre più in poche mani, eccetera.
La prassi ci dice ogni giorno che un certo grado di protezionismo e di intervento dello Stato in economia (eh sì, compresi i tanto odiati dazi, visti come blasfemi dai neoliberisti e dai trattati europei) è assolutamente necessario per evitare che gli squali dei “mercati” mangino tutti i pesci piccoli. Ma non stupisce che i media, di proprietà degli stessi squali, raccontino una storia ben diversa.
Così la narrazione rosea della globalizzazione, delle frontiere aperte, del mondo sempre più unito, dello Stato cattivo e della politica corrotta che si deve fare gli affari suoi, è funzionale ai giganti di finanza ed economia per fare i propri traffici indisturbati e poter diventare padroni di sempre più risorse in sempre più territori. Benvenuti nella VERA globalizzazione.

Ma se gli effetti nefasti della globalizzazione economica cominciano ad essere noti ai più, che reagiscono sempre più spesso con voti di protesta, esiste un altro aspetto, non meno importante, che è connesso all’opera dei globalisti: ed è quello socio-culturale.
Mentre sul piano economico si concentra la ricchezza e si erodono i diritti dei lavoratori e il benessere della classe media, sul piano socio-culturale si incoraggiano i modo crescente i fenomeni migratori e il multiculturalismo. I produttori, mentre delocalizzano dove la manodopera costa meno, incoraggiano nel contempo l’ingresso costante di nuovi disperati in quegli Stati con ancora una forte presenza sindacale e diritti dei lavoratori (come Italia e Francia) in modo da disporre costantemente di manodopera a prezzi stracciati, che costringa gli autoctoni ad adeguarsi o ad andare via. Nel frattempo si ritoccano al ribasso i diritti dei lavoratori, come abbiamo visto con il Jobs Act renziano e la Loi Travail francese.
Incoraggiare i fenomeni migratori e il multiculturalismo serve anche a distruggere progressivamente le identità nazionali, per arrivare nel nostro continente agli Stati Uniti d’Europa, e nel mondo a un grande mercato globale sotto il controllo di pochi signori della finanza e un pugno di corporations.

Un altro tassello del puzzle è il continuo assalto ai valori tradizionali, collegati tra loro, del cristianesimo e della famiglia. Attraverso la ossessiva pressione dei nuovi “diritti” Lgbt (tra cui il matrimonio gay, l’adozione di figli per coppie omosex, la “commissione” di figli per coppie gay con tecniche come l’utero in affitto e Dio solo sa cosa seguirà, c’è già chi parla di permettere agli uomini di partorire) si vuole scardinare il concetto di famiglia tradizionale e naturale, cara alla cultura cattolica ma anche al semplice buon senso, per sostituirla con il concetto di famiglia “artificiale” o “convenzionale”, e con quello di figli “comprati” e “fabbricati”, ovviamente per chi se li può permettere.
Chi scrive ritiene che il primo diritto a dover essere tutelato sia quello del minore ad avere un padre ed una madre, naturali o adottivi. Il resto, il cosiddetto “diritto” delle coppie omosex di avere figli, è pretesa egoistica e contro natura.

Ma se si nota chi c’è dietro questa pretesa costante di dare nuovi “diritti” alle coppie Lgbt, si trova una vecchia conoscenza: lo stesso George Soros in prima linea nel promuovere le continue ondate migratorie verso Europa e Usa.
E’ evidente come il ricco finanziere, con i suoi compagni, stia cercando di mutare il dna di un continente nato su radici greco-romane e poi cristiane, per trasformarlo in un guazzabuglio di razze, etnie, culture e religioni diverse (con i diritti economici, però, sempre al ribasso), che si abbandoni alla nuova religione del consumo.
L’attacco al cristianesimo e ai suoi valori tradizionali (tipico della Massoneria e che ultimamente va di pari passo con quello allo Stato-nazione) ha anche un’altra motivazione: da sempre la dottrina cristiana (almeno nelle sue intenzioni migliori) vede di cattivo occhio la ricchezza e il materialismo, proponendo invece una prospettiva trascendente e all’insegna della solidarietà e della moderazione. Una prospettiva niente affatto gradita dagli avidissimi e straricchi signori del denaro – “sterco del demonio”, per l’appunto – e al loro culto della competizione.

Così a una deregulation economica si vuole accompagnare una deregulation morale e valoriale: il modo migliore per creare una massa di consumatori privi di coscienza e di una identità specifica, che non sia quella data dalla fruizione di una serie di beni e servizi. E per promuovere la nuova “cultura” del materialismo totale e del relativismo etico.

 

P.s. Qui la lista degli alleati considerati “affidabili” da Soros al Parlamento Europeo.
Tra loro Kyenge, Barbara Spinelli e Cofferati.

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